La battaglia di Canne

by Ing. Giuseppe De Marco

Le fonti letterarie e storiche

C. SILIO ITALICO (C. SILII ITALICI)

LE PUNICHE (PVNICORUM)

 

Estratti

LIBRO I,50

…dum Cannas tumulum Hesperiae campumque cruore Ausonio mersum sublimis Iapyga cernam Teque vada dubium coeuntibus, Aufide, ripis Per clipeos galeasque virum caesosque per artus Vix iter Hadriaci rumpentem ad litora ponti.

Che io scorga dal mio trono Canne, tomba d'Italia, e la terra iapigea ricoperta per la strage degli Ausonii, e ti veda, Aufido, fuori dalle ripe anguste aprirti a stento un varco fra elmi, loriche e cadaveri mutilati, verso il mare Adriatico.

 

LIBRO I,314

Hic cerebram fundit Baliari verbere glandem terque levi ducta circum caput altus habena permissum ventis abscondit in aere telum hic valido librat stridentia saxa lacerto huic impulsa levi torquetur lancea nodo.

Questi roteando la fionda spagnuola lancia infinite ghiande di piombo; gira tre volte sul capo la cedevole corda e così con il favore dei venti manda per l'aria il piombo. Altri con il braccio poderoso respinge sassi che fischiano in aria, o scaraventa lance possenti unite fra loro da lievi legami.

 

LIBRO II,658: la rocca di Sagunto

…………………..…………………………………….Erigit atro nigrantem fumo rogus alta ad sidera nubem. Ardet in excelso proceri vertice montis arx, intacta prius bellis - hinc Punica castra litoraque et totam soliti spectare Saguntum - ardent tecta Deum. Resplendet imagine flammae aequor, et in tremulo vibrant incendia ponto.

Il fumo altissimo s'innalza nero in densi nuvoloni dal rogo: la rocca illesa durante la guerra, alta in cima al monte, arde. Di lassù si potevano vedere le tende sidonie e le spiagge e tutta Sagunto. Ardono i templi e le fiamme si riflettono tremolando nelle onde e tutto il mare.

 

LIBRO III,84: la rocca del Campidoglio

Indi ubi flore novo pubescet firmior aetas, emicet in Martem et, calcato foedere, victor in Capitolina tumulum mihi vindicet arce

E poi quando sarà giovinetto brilli tra le armi, onori le mie ceneri, in onta ai patti, con un monumento sulla rocca del Campidoglio.

 

LIBRO VII,479: dalle parole di Proteo il vate alle ninfe Nereidi.

At vos, o natae, currit dum immobile filum, Hadriaci fugite infaustas Sasonis harenas. Sanguineis tumidus ponto miscebitur undis Aufidus et rubros impellet in aequora fluctus;

Ma voi, figlie mie, mentre si svolge lo stame immutabile, fuggite le infauste arene dell'Adriatico Sasone. L'Aufido gonfio di cadaveri si getterà nel mare con onde sanguigne;

 

LIBRO VIII,30: dalle parole della dea Giunone alla dea Anna.

Sanguine cognato iuvenis tibi, Diva, laborat Hannibal, a vestro nomine memorabile Belo. Perge, age et insanos curarum comprime luctus. Excute sollicito Fabium. Sola illa Latinos sub iuga mittendi mora. Iam discingitur armis. Cum Varrone manus et cum Varrone serenda proelia, nee desit fatis ad signa movenda. Ipsa adero. Tendat iamdumdum in Iapyga campum. Huc Treabie rursum et Trasymenni fata sequntur.

Un giovine condottiero, del tuo sangue, Annibale, illustre nome, disceso dal vostro Belo è in affanni. Affrettati e modera, o Dea, la tempesta dei suoi pensieri, togligli dal cuore quel Fabio che l'angoscia ed è unico ostacolo alla conquista d'Italia. Costui sarà privato del comando ed avrà per successore Varrone e con questi soltanto si ingaggierà battaglia. Annibale non venga meno al suo destino e muova il campo affrettandosi verso i piani di Iapige. Io sarò là, e la fortuna gli arriderà come un giorno alla Trebbia ed al Trasimeno.

 

LIBRO VIII,222: Dalle parole della dea Anna ad Annibale.

Haud mora sit; rapido belli rape fulmina cursu, celsus Iapygios qua se Garganus in agros explicat. Haud longe tellus; huc dirige signa.

Muoviti e scaglia rapido le folgori di guerra là dove il Gargano s'innalza sopra i campi iapigei. E' breve la via; volgi colà le insegne.

 

LIBRO VIII,240: dalle parole di Annibale

Vellantur signa, ac Diva ducente petamus infaustum Phrygibus Diomedis nomine campum. Dumque Arpos tendunt instincti pectora Poeni, subnixus rapto plebei muneris ostro, saevit iam rostris Varro, ingentique ruinae festinans aperire locum, fatem admovet urbi.

Muoviamo le insegne. Ci conduce la patria Dea, andiamo alle campagne di Diomede che saranno tomba ai Frigi. Mentre i Fenici eccitati si avviano ad Arpi, Varrone spinto dal favore del popolo ottiene la desiderata porpora. Grida dai rostri e col suo troppo fare affretta alte sventura e l'ultimo crollo di Roma.

 

LIBRO VIII,349

Sic tum diversa turbati mente petebant castra duces. At praedictis iam sederat arvis Aetolos Poenus servans ad proelia campos.

Così mossi da diversi pensieri muovono i condottieri e già il Fenicio occupa le terre indicategli dalla Dea e si prepara a battaglia nei piani dell'Etolia.

 

LIBRO VIII,622

Ut ventum ad Cannas, urbis vestigia priscae, defigunt diro signa infelicia vallo.

Appena giunsero a Canne, ai resti dell'antica città, piantarono sugli sciagurati valli le infauste insegne.

 

LIBRO IX,30: Dalle parole del console Varrone ai soldati.

Sed vos, quorum oculos atque ora humentia vidi, vertere cum consul terga et remeare iuberet, ne morem et pugnae signum expectate petendae; dux sibi quisque viam rapito, cum spargere primis incipiet radiis Gargana cacumina Phoebus.

Ma voi prodi, che io vidi piangere quando al comando del console ritornaste ai valli, non attendete più, secondo le usanze, il segnale della battaglia. Ai primi raggi che indoreranno le cime del Gargano ciascuno si muova duce di se stesso.

BUR:  Ma voi, i cui occhi e i cui volti io ho visto bagnati di lacrime, quando il console vi ordinava di volgere le spalle e di tornare indietro, non aspettate il consueto segnale per entrare in combattimento. Ciascuno sia comandante di se stesso e divori il cammino, non appena Febo avrà diffuso i primi raggi sulle cime del Gargano.

 

LIBRO IX,60: dalle parole del console Paolo al console Varrone.

                 … sistis ni crastina signa,                       61

firmabis nostro Phoebeae dicta Sibyllae

sanguine. Nec Graio posthac Diomede ferentur,

sed te, si perstas, insignes consule campi.

… se domani tu non trattieni le insegne confermerai col nostro sangue le parole dell’augure Apollo e d'ora innanzi questi campi non avranno più nome da Diomede, ma saranno, o console, se ti ostini, tristemente famosi per te.

… se domani non arresti le tue insegne, confermerai col nostro sangue le parole della Sibilla di Febo e in futuro queste pianure diverranno famose non per il greco Diomede, ma, se ti ostini, per il tuo consolato.

 

 

LIBRO IX,184: Dalle parole di Annibale ai propri soldati.

"Non verborum", inquit, "stimulantum", Poenus, "egetis, Herculeis iter a metis ad Iapygis agros vincendo emensi; nusquam est animosa Saguntos;"

Esclama il Fenicio: "Voi non avete bisogno che io vi stimoli con parole, poiché‚ sempre vincendo percorreste la via dalla meta di Ercole alle terre di Iapige; l'animosa Sagunto cadde;

 

 

LIBRO IX,212

Neu vos Garganus Daunique fefellerit ora, ad muros statis Romae; licet avia longe urbs agat et nostro procul a certamine distet, hic hodie ruet, atque ultra te ad proelia miles nulla voco; ex acie tende in Capitolia cursum. Haec memorat. Tum, propulso munimine valli, fossarum rapuere moras, aciemque locorum consilio curvis accomodat ordine ripis.

Non vi addolori il Gargano o la Daunia; siamo già alle mura di Roma. Sia pur lontana dal campo di battaglia e fuor di strada, oggi qui cade Roma. Non vi chiamerà ad altre battaglie. Soldati, orsù rapidi da Canne al Campidoglio. Dice e le coorti non ritardate dai fossi escono a corsa dai valli e come la natura del luogo lo richiede, Annibale le schiera lungo la riva del fiume.

Non fatevi trarre in inganno dal Gargano né dalla terra di Dauno, è davanti alle mura di Roma che voi siete. Benché la città sia lontana e assai distante dal campo di battaglia, è qui che oggi cadrà, e dopo io non ti chiamerò più ad alcun combattimento, soldato; da questo fronte, marcia rapido verso il Campidoglio. Così egli parla. Allora, abbattute le difese del vallo, gli uomini superarono d’un balzo l’ostacolo dei fossati e Annibale schiera l’esercito adattandolo, come il luogo gli consigliava, alla linea curva delle rive.

 

LIBRO IX,227

At parte in dextra, sinuat qua flexibus undam Aufidus et curvo circum errat gurgite ripas, mago regit.

Dell'ala destra, dove erra con le sue curve sinuose l'Aufido, è condottiero Magone.

 

LIBRO IX,300: Alla battaglia assistono anche gli Dei.

Quorum ubi mole simul venientum et gressibus alma intremuit tellus; pars implevere prpinquos divisi montes, pars sedem nube sub alta ceperunt; vacuo descensum ad proelia caelo.

Al passo di tanti Numi accorrenti tremò la terra. Gli immortali si posero chi sulla cima dei vicini monti chi sulle alte nubi attendendo la battaglia. Il cielo rimase solitario.

 

LIBRO IX,466: anche gli Dei partecipano alla battaglia; dalla lotta fra Marte e Minerva.

Hic Dea convulsam rapido conanime partem vicini montis scopulisque horrentia saxa in Martem furibunda iacit, longeque relatos expavit sonitus, tremefacto litore, Sason.

La Dea divelta dal vicino monte un'enorme pietra l'avventa spietatamente contro il Dio onde al fracasso che rimbomba lontano tremano le spiagge di Sasone.

 

LIBRO IX,481: dalle parole di Minerva al messaggio di Giove che chiede di abbandonare il campo.

"Absistemus", ait, "campo. Sed Pallade pulsa num fata avertet? Caeleoque arcebit aba alto cernere Gargani ferventia caedibus arva?"

"E' sia, si sgombri il campo, ma che egli forse allontanerà il destino per avermi cacciata? M'impedirà forse di vedere dal cielo le campagne garganie ricoperte di stragi?

 

LIBRO X,372

Quos inter motus somni vanosque tumultus dedita per noctem reliquo cum milite castra muntiat et praedam pleno trahit agmine Mago. Huic ductor laetas Tarpeio vertice mensas spondenti, cum quinta diem nox orbe tulisset, celatis Superum monitis clausoque pavore, vulnera et exhaustas saevo certamine vires ac nimium laetis excusat fidere rebus.

Vaneggia ansiosamente per i tumulti sognati mentre Magone gli annunzia che nella notte il campo si era reso con gli ultimi nemici. E mentre si avanza la lunga fila dei soldati carichi di prede gli dice: "Ti prometto che tra cinque giorni banchetteremo festanti sulla Rupe Tarpea". Ed Annibale gli risponde, celando il suo sgomento per gli avvisi celesti, che per le ferite dei soldati affranti ed esausti, per le aspre battaglie non bisognava fidarsi della fortuna.

 

LIBRO X,387

Dumque ea Mago fremit cauto non credita fratri, iam Latius sese Canusina in moenia miles colligere et profugos vicino cingere vallo coeperat.

Invano Magone incita il fratello sospettoso e guardingo. Frattanto i soldati romani si radunavano a Canosa difendendosi entro le mura.

 

LIBRO X,524

Haec ait et socium mandari corpora terrae, postera cum thalamis Aurora rubebit apertis, imperat armorumque iubet consurgere acervos, arsuros, Gradive, tibi. Tum munera iussa, defessi quamquam, accelerant sparsoque propinquos agmine prosternunt lucos; sonat acta bipenni frondosis silva alta iugis. Hinc ornus et altae populus alba comae, validis accisa lacertis, scinditur, hinc ilex, proavorum condita saeclo. Devolvunt quercus et amantem litora pinum ac, ferale decus, maestas ad busta cupressos. Funereas tum deinde pyras certamine texunt, officium infelix et munus inane peremptis, donec anhelantis stagna in Trtessia Phoebus mersit equos, fugiensque polo Titatnia caecam orbita nigranti traxit caligine noctem. Post, ubi fulserunt primis Phaethontia frena ignibus, atque sui terris rediere colores, supponunt flamman et manantia corpora tabo hostili tellure cremant.

[Annibale] Cosi disse e comandò che allo splendore dell'aurora del giorno seguente si desse sepoltura ai compagni morti e si inalzasse alto un mucchio di armi e si incendiasse in onore di Marte. Frettolosi, sebbene stanchi, i Fenici obbediscono. Si disperdono intorno ad abbattere i boschi e sui colli frondosi si odono risuonare i colpi delle asce e cadono recisi dalle braccia vigorose roveri e pioppi alti dalle bianche fronde ed elci piantati nelle antiche età, si abbattono insieme querce e cipressi che ombreggiano mesti le tombe. E tutti gareggiando (pietoso ufficio ed inutile ai morti) innalzano quindi i funebri roghi fin quando Apollo tuffati i cavalli anelanti nelle tartessie acque disparve dal cielo e dietro il suo carro salì la notte con le profonde ombre. Non appena i primi fulgori fetontei riscintillarono ed ogni cosa riebbe il suo colore, arsero le fiamme ed i corpi stillanti putredine bruciarono in terra nemica.